Purpose, Meaningfulnes and Happiness ai tempi del Covid Cosa impariamo dallo smart working forzato
Il grande esperimento collettivo di smartworking forzato darà la spinta a ridisegnare I processi lavorativi per incrementare felicità, significatività e senso delle attività lavorative? Come impostare un Freshstart reimmaginando il lavoro?
Un bellissimo articolo di Vittorio Pelligra: “Felicità e significato: le due dimensioni nascoste del lavoro -Quando lavoriamo, siamo mossi da ragioni più profonde di quello che pensiamo. A partire dalla felicità “ stimola una riflessione sul significato del lavoro, la felicità ed il senso di quello che facciamo al lavoro. L’articolo di Pelligra, ricco di dotte citazioni letterarie, mi ha ricordato un altro simbolo del lavoro, la fatica, il senso, Sisifo e invogliato a rileggere alcuni articoli su Camus di Davide D’Alessandro, Alfonso Berardinelli e Stefano Scrima. Alcuni video di Jennifer Aaker ed una recente survey svolta tra colleghi in smart working a causa del Covid completano i riferimenti per questo articolo.
Lo smart working obbligato di questi tempi, rende la riflessione assai attuale. Cosa abbiamo tratto da questa esperienza? Il carico di lavoro (workload) dello smart working, pigiati nella casa con i bambini, negletti dal sistema scolastico pubblico, e con il coniuge altrettanto indaffarato tra scadenze lavorative e familiari, è valso la pena?
Novelli Sisifo, per giorni e giorni, abbiamo meccanicamente riaperto gli schermi del computer e lavorato, partecipato ad infinite riunione, rielaborato e ripetuto operazioni di routine.
Condannati a spingere in cima a un monte, un masso che ogni volta rotolerà di nuovo a valle.
Anche Camus immaginava il suo Sisifo Felice
Eppure in una recente survey interna della società presso la quale lavoro, il livello di engagement, misurato al mese di Maggio, è rimasto alto. Tante le ragioni, molte le osservazioni e le analisi svolte dal nostro management team. Nel loro complesso le persone hanno mantenuto un approccio positivo. Pelligra una spiegazione ce la offre: anche Dostoevskij, recluso in un campo di lavoro in Siberia, non temeva tanto la durezza del lavoro, quanto la sua inutilità: « se si volesse schiacciare del tutto un uomo, annientarlo, punirlo con il castigo più terribile (…) basterebbe soltanto conferire al lavoro un carattere di autentica, totale inutilità e assurdità. (..) se, per esempio, lo si costringesse a travasare dell’acqua da una bigoncia all’altra, e da questa riportarla nella prima; a triturare la sabbia; a trascinare un mucchio di terra da un posto all’altro, e viceversa, io credo che il detenuto s’impiccherebbe nel giro di pochi giorni, o commetterebbe un migliaio di delitti per morire piuttosto, ma tirarsi fuori da una simile umiliazione, vergogna e tormento».
Philip Roth intervistando Primo Levi, ci ricorda Pelligra, conferma l’ipotesi di Dostoevskij: «Ad Auschwitz ho notato spesso un fenomeno curioso: il bisogno del ‘lavoro ben fatto’ è talmente radicato da spingere a far bene anche il lavoro imposto, schiavistico. Il muratore italiano che mi ha salvato la vita, portandomi cibo di nascosto per sei mesi, detestava i tedeschi, il loro cibo, la loro lingua, la loro guerra; ma quando lo mettevano a tirar su muri, li faceva dritti e solidi, non per se ma per il piacere di fare una cosa bene”
Il premio Nobel Kertész fece dell’ “essere senza destino” la condizione più insopportabile per l’uomo, ma la quotidianità ripetitiva dei campi di concentramento aiutava a definire uno scopo giornaliero e a sopravvivere. I piccoli e semplici obbiettivi giornalieri aiutavano a “tirare avanti”.
Nel suo libro “Man’s Search of Meaning” Viktor E. Frankl condivide le sue osservazioni sui prigionieri nei campi Nazisti dove solo la speranza e uno scopo permise ad alcuni di sopravvivere. La “ricerca di senso” ( Logotherapy), ci dice che lo scopo della vita è la ricerca di significato. Chiunque abbia uno scopo sopravviverà per raggiungerlo.
Limitati nelle libertà, schiavizzati nella prigionia gli uomini e le donne trovano senso nel ripetitivo giornaliero ‘fare bene’ il senso della loro fatica e stress. Hanno uno scopo.
Scrive Camus: «Lascio Sisifo ai piedi della montagna! Si ritrova sempre il proprio fardello. Ma Sisifo insegna la fedeltà superiore che nega gli dèi e solleva i macigni. Anch’egli giudica che tutto sia bene. Questo universo, ormai senza padrone, non gli appare sterile né futile. Ogni granello di quella pietra, ogni bagliore minerale di quella montagna, ammantata di notte, formano, da soli, un mondo. Anche la lotta verso la cima basta a riempire il cuore di un uomo. Bisogna immaginare Sisifo felice». Sisifo, raggiunta la vetta, nell’ attimo in cui lascia la grande pietra è libero! Quell’attimo di felicità è forse quello che giustifica il grande sforzo e la grande fatica. Sisifo, infatti, accettava la vita così com’era, forse anche autocompiacendosi dell’effimerità dell’esistenza e delle sofferenze che doveva sopportare.
Camus riflette Il senso di quello che stavamo facendo per difendere la collettività dal Covid ha prevalso sulle difficoltà di farlo. Concentrarci sui compiti e le attività da svolgere ha anestetizzato le paure, le preoccupazioni ed i timori sugli sviluppi del Covid.
Il workload
Nella survey alla quale facevo riferimento, mentre il risultato relativo al livello di engagement è rimasto alto, lo sbilanciamento tra carichi di lavoro e necessità familiari è drammaticamente peggiorato. Pur avendo ridotto le ore di spostamento tra casa e luogo di lavoro, pur avendo la vicinanza dei propri cari, la situazione del work life balance è risultata totalmente insoddisfacente. Anche un recente studio di Microsoft su un campione di loro dipendenti, pubblicato da HBR ha confermato che mediamente sono state lavorate 4 ore in più alla settimana. Ipotizzo che la loro felicità fosse più bassa mentre il livello di impegno profuso nel lavoro ed il senso che farlo lo dava è risultato alto.
La Felicità di Sisifo deve meglio essere compresa. Ci aiuta ancora Pelligra che ci parla del “paradosso della fatica” (the effort paradox), che viene, allo stesso tempo evitata, se possibile, ma al quale, contemporaneamente, molto spesso attribuiamo un grande valore esistenziale. Ogni lavoro dotato di senso si gioca all’interno di questa polarità, tra il peso dell’opera e l’intima soddisfazione che da essa è generata. Una polarità che rischia di non venire compresa appieno fin tanto che non si scioglie, anche nella riflessione sul lavoro, il nodo della differenza tra ricerca di senso (meaning) e ricerca della felicità (happiness); perché è vero che essere felici e vivere una vita densa di significato spesso sono condizioni che presentano spazi ampi di sovrapposizione, ma è altrettanto vero che sussistono, tra le due condizioni, importanti e ineliminabili differenze.
Secondo Jennifer Aaker è opportuno distinguere tra felicità e significatività/senso (meaningfulness): la prima è orientata verso di sé mentre la seconda verso gli altri. In generale, le persone che conducono una vita felice (ma non necessariamente significativa/meaningful) derivano la gioia dal ricevere benefici dagli altri. In contrasto, le persone che conducono vite significative (ma non necessariamente felici) esperimentano la gioa dal donare agli altri. Il significato/Meaning transcende sé stessi mentre la felicità si focalizza sul dare al sé ciò che vuole.
Abbastanza recentemente, stimolati da grandi investitori globali, quali Larry Fink CEO di Blackrock, i CEOs stanno rilanciando la Purpose (scopo) della loro impresa cercando così di dare più Meaning (senso) al lavoro offerto con l’idea di attrarre talenti, generare migliore well-being e forse cercare la felicità (happiness) dei propri associati. Il refocus sulla Purpose dell’impresa è un tentative di rivalutare il ruolo che l’impresa ha nella società assicurando un profitto non a scapito dell’ ambinte e della Società. Non più orientate al solo Profitto, la purposeful company cerca di dimostrare il proprio impatto sociele e ridurre l’impatto ambientale.
Rilanciando la propria Purpose, l’impresa carica di senso/meaning le proprie azioni.
In questo senso, per i lavoratori in smart working durante il Covid, la fatica, lo scopo del lavoro hanno dato senso, motivazione ed egagement ma il work load è stato superiore al loro well-being/happiness atteso.
D’ altro cantoci conferma la Aaker che le “scelte significative” sono spesso non molto piacevoli da attuare, ed in effetti posso avvenire ad un costo e implicare dolore, spesso sono associate con una più ampia purpose. Inoltre le conseguenze delle scelte fatte in nome della meaningfulness (a differenza dell’ happiness) sono spesso più durevoli.
Tra Felicità e senso collettivo
Lo smart working forzato dal Covid è stata una risposta anche collettiva al bisogno della Società di proteggere i propri cittadini dall’insorgenza di una infezione. L’impegno nel continuare il proprio lavoro con una fatica maggiore si è arricchito anche di un senso collettivo di scopo: sono a casa, lavoro tante ore per la mia famiglia e per aiutare gli altri a non infettarsi. Lavoro per me (Felicità) ma non solo per lo scopo del gruppo al quale appartengo ma quello della Società nel suo insieme. Pelligra sostiene: “il senso che troviamo o che riusciamo ad ascrivere alla nostra esistenza è, in larga parte, una costruzione collettiva, che sfugge, in parte, al nostro controllo individuale. Benché possa apparire strano, questa natura sociale, caratterizza anche certe visioni della felicità; per esempio la visione tipica degli economisti civili del ‘700 che consideravano la felicità come una faccenda pubblica – l’economia era infatti la scienza della «pubblica felicità». Non si può essere felici da soli, ma ancora di più non si può dar senso alla propria esistenza da soli. Non tanto perché, come capita con la nostra felicità, essa dipende in larga misura dalla qualità delle relazioni che intessiamo con altri e dal riconoscimento che da questi riceviamo – i fellow-feelings e la praise-worthiness su cui si intrattiene a lungo Adam Smith – ma, piuttosto, perché il senso che riusciamo ad attribuire alla nostra esistenza è un mosaico concettuale nel quale milioni di individui hanno posto la loro tesserina, uno sfondo disegnato da storie collettive sul quale osserviamo, in primo piano, noi stessi.”
Il pursuit of Happiness nella costituzione Americana, come condizione da perseguire da parte dei cittadini, va probabilmente più verso la logica collettiva. L’impresa con una forte Purpose crea una cultura che sostiene il lavoro ricco di significato, poiché dare senso al lavoro genera coinvolgimento ed engagement.
Una delle più importanti differenze tra le scelte delle persone guidate dalla desiderio di meaningfulness verso happiness è il grado per il quale la scelta può beneficiare gli altri o il mondo, suggerisce la Aaker. Per esempio, ci dice, che Noah Goldstein ha effettuato due studi sul campo che dimostrano come i consumatori impegnati a prendere decisioni a favore della riduzione degli sprechi e migliorare la conservazione ambientale scelgano il meaning verso l’happiness. Queste scelte sono significative in quanto promuovono comportamenti a favore della società e l’ambiente.
Conclude Pelligra: “Ne emerge un Quadro che ci mostra due finalità, due traiettorie, due idee, quella di felicità e quella di significato che sono certamente legate tra di loro, ma in maniera meno diretta di quanto si possa sospettare: due cugine più che sorelle. Questo è un fatto che può rivestire grande importanza nel mondo del lavoro. Di cosa andiamo alla ricerca nella nostra vita lavorativa? Felicità nel presente o un senso di contribuzione duraturo? Percorsi facili e soddisfacenti o sfide complesse ed impegnative?”
In conclusione sembra di poter dire che il lavorare forzatamente da casa abbia aumentato il senso di significato del proprio lavoro. Se è proseguito e non stato interrotto è perché quel lavoro era “essenziale” per la collettività, aveva un senso probabilmente già contenuto nella Purpose aziendale ma rafforzato dalle decisioni governative. Acquisiva anche più senso, nella situazione di paura ed oppressione del Covid, come nei campi di lavoro descritti all’inizio, perché aiutava a “trovare un destino” alla ripetitività, a volte monotona, delle giornate. Il maggiore carico di lavoro sopportato è stato certamente ragione di lamentela ma non a scapito dell’impegno e coinvolgimento nelle attività lavorative.
Forse si sta concludendo la fase della ricerca della Felicità al lavoro e la riflessione sulla meaningfulness/significatività sociale della nostra attività sarà centrale nel ridisegnare l’organizzazione del lavoro del futuro