La (falsa) sicurezza dei numeri
Ci è piaciuto tantissimo l’articolo di Spada in Pillole di Ottimismo che lo riporto di seguito integralmente. Buona lettura
A questo proposito, trattandosi di analisi dei numeri, non posso fare a meno di commentare un lungo articolo apparso sul Corriere della Sera, in cui si tenta di ragionare sui rischi delle riaperture che da domani, e per le settimane successive, porteranno il Paese a riprendere tutte le attività. L’articolo, dal titolo “La falsa sicurezza dei numeri”, conclude che “dal punto di vista epidemiologico gli allentamenti non sono giustificati, non siamo affatto pronti.” Il ragionamento parte dal confronto tra oggi e un anno fa, pur ammettendo che trattasi di raffronto difficile. Ad ogni modo, si dice: “Nella settimana del 18 maggio 2020, al termine del lockdown duro, avevamo meno di mille nuovi contagi al giorno, e un totale di 66mila positivi. Vero è che la capacità di testing era molto inferiore a oggi, e che si trattava quasi sicuramente di sottostime, ma tali erano gli ordini di grandezza.” [.. ] ”Domani, lunedì 26 aprile, faremo un passo che assomiglia a quello del maggio 2020, ma con numeri più confrontabili a quelli di novembre. Infatti, se i nuovi casi giornalieri sono dimezzati rispetto ad allora, appena sotto i quindicimila e con trend in discesa, la totalità di positivi è pressoché identica. Mezzo milione.” Più avanti si ribadisce: “il 18 maggio 2020 uscivamo di casa con un migliaio di nuovi positivi al giorno, non tredicimila; con meno di un centinaio di migliaia di positivi in totale, non mezzo milione.”
Comincio col dire che anche lo scorso anno le riaperture sono state graduali, iniziando il 4 maggio (e già allora “uscivamo di casa”) e terminando il 15 giugno. Il raffronto dovrebbe quindi quanto meno paragonare i numeri di oggi con quelli della vigilia di allora. In quella settimana avevamo fatto meno di 400.000 tamponi, registrando circa 13.000 nuovi positivi, mentre questa settimana su oltre 2.000.000 di tamponi ne abbiamo registrati 92.500. Non si tratta quindi di un rapporto di 1 a 13 tra l’anno scorso e oggi, ma di 1 a 1,4, e direi che forse, spiegato così, fa un po’ meno impressione. Non a caso, lo scorso anno si stimava che il contagio reale fosse 10 volte superiore a quello ufficiale, mentre oggi si ritiene che non sia superiore a 2 volte. Il paragone tra due sottostime tanto diverse riguarda allo stesso modo il numero degli attualmente positivi, di cui – ricordiamo – la gran parte ha superato la fase di contagiosità, e resta settimane (isolato) in attesa della notifica di guarigione. Non è la prima volta che si cita il mezzo milione di positivi per convincere del rischio a cui siamo esposti, ma per onestà intellettuale si dovrebbe ammettere che lo scorso anno non erano probabilmente un numero molto inferiore (e oltretutto la gran parte non aveva avuto diagnosi, ed era quindi semmai in condizione di essere più spesso in giro senza sapere d’essere stato contagiato). Ad ogni modo, il 3 maggio i malcontati “attualmente positivi” erano 100.000, oggi sono 461.000: dal momento che facciamo ora 5 volte il numero di tamponi di allora, possiamo forse smettere di spaventarci con queste cifre, e ammettere che “gli ordini di grandezza” sono gli stessi.
Volendo prescindere dalla sottostima dei conteggi e dei tamponi, altri indicatori possono essere di aiuto. Le chiamate al 118 in Lombardia, ad esempio, nella settimana precedente la riapertura di maggio 2020, erano state mediamente 370 al giorno, mentre il dato attuale (al momento fermo al 22 aprile) è 397. Anche qui non sembra di riconoscere grande differenza.
Continua il Corriere: “Fra le analogie, la più pericolosa è senz’altro il senso di déjà-vu rispetto al maggio scorso, quando ci siamo riaffacciati al mondo dopo settimane. È stato l’inizio di una lunga parentesi tranquilla, durata fino all’autunno. Ora è facile che la nostra mente ci sussurri che sta per ripetersi.” E per fortuna. Sinceramente mi auguro che le mille voci che mettevano allora in guardia per l’imminente catastrofe, vengano nuovamente smentite dagli eventi.
E poi ora abbiamo un vaccino, santo cielo. E’ del tutto spiegabile che solo ora si comincino ad apprezzarne gli effetti, ma i dati sono solidi, l’esperienza all’estero ci conforta, ogni giorno aumenta la quota di persone protette. I vaccini ci porteranno fuori dai guai, coraggio!
Ma vorrei essere chiaro. Al di là della tentazione, a cui non resisto, di opporre numeri ai numeri (con grande rispetto per chi porta le proprie osservazioni, come in questo caso, con il beneficio del dubbio), io non sposo la tesi opposta, non mi sento partigiano della liberazione, e ho più speranze che certezze.
Di tutto l’articolo citato, apprezzo soprattutto l’ammissione che al rischio «ragionato» contribuiscono “almeno altrettante considerazioni di urgenza socio-economica”, e che “dire giusto/sbagliato richiede ormai troppe valutazioni simultanee di carattere troppo diverso”.
Questo è il punto fondamentale, e dispiace che troppo spesso non se ne faccia degna menzione. Nessuno nega (non io, almeno) che vi siano rischi nella lunga “svolta di primavera”, di cui abbiamo molte volte parlato in queste settimane. Ciò che non si può non vedere è che i margini di tolleranza verso le restrizioni si sono esauriti, le stesse misure hanno perso gran parte dell’efficacia, e il peso che grava sulle spalle di chi è costretto ad adeguarsi è ogni giorno più insopportabile. Un piccolo dettaglio sfugge, in quel raffronto tra lo scorso maggio e oggi: c’è un anno di più. Un anno di rinunce, di sacrifici, di speranze deluse, di problemi che si sono sommati, e soluzioni che non sono arrivate. Di persone in crisi, psicologicamente, materialmente, fisicamente.
Certo che vorremmo avere numeri ancora migliori. Certo che attendere ancora sarebbe stato preferibile. Ma avremmo potuto, davvero? Lo avremmo dovuto fare distogliendo per forza lo sguardo dal mondo di fuori, che è fatto di persone, esseri umani fragili e stanchi, che quei numeri non contano mai, non vedono mai.
E piuttosto, mi dico, se tanto timore rimane, perché non mettere un po’ di prudenza nel sistema, e distinguere maggiormente le zone? Se sono i numeri il problema, perché si insiste a non vedere che vi sono territori ancora ad elevata incidenza, ed altri che ne hanno 3-4 volte di meno, e vengono messi tutti insieme, nello stesso colore? Se vediamo tanti rischi all’orizzonte, perché non aggiorniamo il nostro monitoraggio, utilizzando una granularità più fine, e non ci prepariamo ad ogni accenno di risalita con misure più mirate e tempestive?
Abbiamo bisogno di andare avanti, con fiducia e coraggio, usando tutte le protezioni disponibili, ma andando avanti, guardando avanti, finalmente.